Una calle, una storia | Viaggio tra i nizioleti veneziani: chi erano i “Frutariol”?

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Ninzioleto "Rio Terà Barba Frutariol"
 

Una calle, una storia | Viaggio tra i nizioleti veneziani: chi erano i “Frutariol”?

15/01/2019

Ai tempi della Serenissima i frutarioli erano i venditori di frutta che, insieme a erbaroli (venditori di verdura) e naranzeri (venditori di agrumi), costituivano i tre “colonnelli” (rami in cui si articolava uno stesso mestiere) raggruppati nella stessa Arte o Corporazione dei Frutaroli, istituita nel XV secolo.

Anche la sede sociale dei tre colonnelli era comune e si ricordano due ubicazioni: una a San Pietro di Castello, l'altra a Santa Maria Formosa.

Il toponimo "frutariol" si trova in numerosi sestieri di Venezia, nei luoghi dove si esercitava il mestiere, a Castello, a San Marco, a Cannaregio, dove tutt'oggi esiste un negozio di fruttivendolo nel Rio Terà Barba Frutariol (rio interrato nel 1776).

I frutarioli erano i protagonisti della festa dei meloni. Questa ricorrenza si celebrava perché il doge Michele Steno (eletto nel 1400) aveva posto fine a delle controversie fra i confratelli dell'arte dei frutarioli e, per riconoscenza, questi gli avevano offerto numerosi squisiti poponi (meloni). Da quell'epoca l'evento veniva ricordato nel primo anno di governo di ogni doge, in agosto nel giorno intitolato a Santa Marina, con una vivacissima processione fra canti e musica. Parati a festa, i frutarioli si radunavano in Campo S. Maria Formosa e, passando per le Mercerie e Piazza San Marco, si recavano a Palazzo Ducale. Non mancavano i tre stendardi dell'Arte e una grande base a sostegno della figura del loro protettore San Giosafat, portato a spalla da quattro facchini in tunica bianca con in testa un berrettone con fiocchi e fiori. Giunti alla Porta della Carta, i frutarioli salivano alla Sala dei Banchetti, ove offrivano al doge grandissimi poponi su piatti o ceste argentate ed egli ricambiava il gesto donando loro formaggi, prosciutti, ossocolli, sopressade, lingue salate, ciambelle e vino moscato.

Verdure e frutta giungevano a Venezia per lo più dagli orti dell'estuario veneto. Murano, Treporti, Sant'Erasmo, Cavallino, Lio Piccolo, Lio Maggiore, Chioggia, Mazzorbo, Torcello, Malamocco, Pellestrina, Giudecca fornivano alla Serenissima i prodotti ortofrutticoli che venivano scaricati a Rialto per essere venduti sulle rive di San Marco e di Rialto, pena ai trasgressori il sequestro della barca usata per il trasporto. Solo a fronte del pagamento del dazio, i frutarioli potevano vendere la merce anche sulle altre rive e in diversi luoghi della città.

Il Governo controllava e faceva rispettare i prezzi tutelando così sia la popolazione che l'Arte. I fanti addetti alla sorveglianza non potevano ricevere frutta in dono, a meno che non fosse per loro uso personale.

Le botteghe da frutariol, a Rialto e a San Marco, avevano solitamente tettoie in legno. I frutarioli erano autorizzati a vendere anche le uova, ma potevano tenerne in deposito al massimo 300.

Una calle, una storia: viaggio tra i toponimi veneziani alla scoperta del passato della Serenissima
 

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