Una calle, una storia: "Cordami e Corderie”
15/01/2019Alcune strade di Venezia ricordano, con i loro toponimi, la fiorente industria navale veneziana ai tempi della Serenissima e le numerose attività ad essa legate, che si svolgevano principalmente all'interno dell'Arsenale (fondato nel 1104 quando era doge Ordelafo Falier), ma non solo.
Troviamo per esempio la corte dei Cordami alla Giudecca, dove si torcevano all’aperto le gomene delle navi. Dopo la venuta di Napoleone, proprio in questa corte si trasferì da Cannaregio la famiglia Inio, i cui membri fabbricarono gomene e cime per le navi dal XVI secolo fino al 1995 (l'ultimo cordèr di Venezia fu Renzo).
Ricordano inoltre la lavorazione ed il commercio delle corde il ramo, la fondamenta e il campo della Tana a Castello, vicino a via Garibaldi. Il termine Tana probabilmente deriva da "Tanai", antico nome del fiume Don che sfocia sul mar d'Azof, dove i veneziani avevano degli importanti empori commerciali dai quali facevano provenire la canapa per i cordami e la calafatura degli scafi. Venezia infatti, per assicurare continuità e prezzi convenienti alla forniture di fibra, dapprima incrementò le importazioni dalle terre emiliane e dalle Marche, poi anche dalle piantagioni del Medio Oriente.
Il 7 luglio 1302 il Maggior Consiglio deliberò la costruzione di un fabbricato dove concentrare la filatura dei cordami e per il deposito del canapo. In concomitanza con il primo ampliamento dell'Arsenale (che interessò la campagna posta a sud del lago di San Daniele), fu costruito a tale scopo, nel 1303, un edificio in mattoni. Venne chiamato “Caxa del canevo”, ma tra il 1579 e il 1585, su progetto di Antonio Da Ponte, al posto della “Caxa del canevo” fu costruita la “Teza longa de la Tana” così com'è oggi, dove sorsero le corderie. Si tratta di un edificio a tre navate, con 84 grosse colonne, avente una lunghezza di 316 metri. Lì venivano prodotte, a livello industriale, dai cosiddetti “conzacanevi” e “filacanevi” a la Tana, coadiuvati da altre maestranze, funi, gomene, corde e cavi.
Il sistema utilizzato per confezionare le corde garantiva l'assenza di scarti: le corde uscivano dalla corderia attraverso dei fori e venivano tagliate della misura richiesta, anziché essere confezionate in lunghezze standard. Ciò garantiva un buon risparmio alla Repubblica e contemporaneamente consentiva di vendere, alle navi straniere in transito, le funi ad un prezzo conveniente.
Le galee ed in genere le navi a vela richiedevano una considerevole quantità di cordame di vario spessore fra cui il cordino per cucire le vele e le grosse cime per le ancore e gli ormeggi, nonché tutto il sartiame utilizzato per le manovre.
All'interno della “Teza longa de la Tana” erano posti, ad un'estremità, i cavalletti con il meccanismo a manovella per ritorcere i trefoli (fili sovrapposti ed avvolti uniformemente a spirale su un’anima centrale), con accanto il carrello che regolava l'avanzamento dei fili e, alla fine, la slitta, tenuta salda da grossi sassi, con la funzione di mantenere in giusta trazione il cavo. Lungo l'edificio erano disposti ulteriori cavalletti, dotati di pioli, per sostenere il peso della corda che si stava fabbricando.
La magistratura veneziana aveva predisposto un controllo affinché le funi da vascello fossero composte esattamente da 1.098 fili di canapo attorcigliati. Inoltre i Visdomini alla Tana, tre magistrati eletti dal Maggior Consiglio, sovrintendevano al deposito dei cordami. Altra regola imposta era che nessun lavorante vendesse alcunché ai privati senza prima aver ottenuto una particolare licenza rilasciata dai “Giustizieri Vechi”.
Trascorso non molto tempo dalla caduta la Repubblica nel 1797, la “Teza longa de la Tana” cessò la propria secolare attività e venne adibita a magazzino. Da diversi anni è divenuta sede espositiva della Biennale di Venezia.
Una calle, una storia: viaggio tra i toponimi veneziani alla scoperta del passato della Serenissima