Rio dell'acqua dolce

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Rio dell'acqua dolce

15/01/2019

È così denominato un canale di Cannaregio nella zona di Santi Apostoli. Per capire come mai ad un canale di Venezia sia stato dato un nome così particolare dobbiamo andare indietro al XV secolo quando gli acquaroli trasportavano l'acqua del fiume Brenta a Venezia. Le loro barche con il carico di acqua dolce stanziavano nel rio detto per questo “Dell'acqua dolce”.

Quando a Venezia, alla fine del Quattrocento, vi fu una significativa crescita demografica (circa 150.000 abitanti), l’acqua dei pozzi non era più sufficiente. Già nel 1425, con decreto del Senato, si era deciso di usare il fiume Brenta per prelevare l'acqua dolce per i veneziani in periodi di siccità. I “burci” (grandi barche a fondo piatto) arrivavano vuoti da Venezia fino a Fusina da dove, dopo essere stati caricati nei pressi dell'intestadura (cioè il punto dello sbarramento della foce del Brenta) ripartivano per Venezia.

Le uniche aree di Venezia dove erano presenti vene di acqua dolce erano i lidi dove si formavano pozzi naturali, con l’accumularsi dell’acqua piovana filtrata e depurata dalla sabbia.“Venezia è in aqua e non ha aqua” scriveva lo storiografo e senatore della Repubblica Serenissima, Marin Sanudo (1466-1543): vi erano infatti rari pozzi artesiani e l’acqua dolce doveva essere raccolta e conservata con complicati sistemi di cisterne filtranti.

La costruzione dei pozzi era affidata ad una ristretta confraternita detta dei Pozzeri. L’acqua piovana veniva convogliata dai tetti o da apposite piattaforme ingegnosamente costruite, nei pozzi profondi scavati nel terreno; filtrata da strati di sabbia si manteneva pura e fresca. Un manto d'argilla, a imbuto, circondava il pozzo rendendolo impermeabile alle infiltrazioni d'acqua salmastra.

Nel marzo del 1471, fu istituita la scuola chiusa degli acquaroli o burceri da acqua, che riuniva i conduttori di burci che trasportavano acqua dolce in città. La sede della scuola era in campo “San Basegio” e, vista l'importanza dell'approvvigionamento di acqua, la corporazione degli acquaroli era era sottoposta al controllo di numerose magistrature veneziane: “Giustizieri Vechi”,  “Provedadori sora la Giustizia Vechia”, “Magistrato a la Sanità” e “Colegio a la Milizia da Mar”. La Mariegola originale è custodita nella civica Biblioteca Correr.

Tra il 1609 e il 1611 venne realizzato un progetto dell'ingegnere idraulico Cristoforo Sabbadino, proto (primo tecnico) al servizio della Magistratura alle Acque che qualche decennio prima aveva proposto di “tuor l'aqua dolce al Dolo” e incanalarla nella Seriola (o Ceriola, in antico dialetto veneziano significava stretto corso d'acqua), canale artificiale scavato tra Dolo e Moranzani, dove veniva filtrata attraverso una serie di vasche. Nel punto in cui la Seriola deviava dal Brenta, c'era e si conserva tutt'ora, in via Garibaldi a Dolo, un'iscrizione marmorea: HINC URBIS POTUS (di qui l'acqua potabile per la città). La Seriola, per ordine dei Savi Esecutori alle Acque, doveva restare pulita, perchè l'acqua doveva essere potabile e chi la inquinava pagava pesanti multe.

Giunta a Venezia, l'acqua trasportata dai burci veniva fatta scorrere, lungo canalette di legno, dalla sentina fino ai pozzi, la maggior parte dei quali era sovrastata da “vere da pozzo”. Questo è un termine tipicamente veneziano e con esso si definisce la costruzione lapidea, sovrapposta alla canna del pozzo a protezione della sua apertura. Da semplicissimo elemento con funzioni di sola sicurezza, col passare del tempo la “vera” divenne un ricco e pittoresco ornamento di piazze e cortili.

Gli acquaroli che non fossero iscritti all'Arte potevano solamente vendere acqua al minuto e i loro burci erano detti “scoassere”, perchè utilizzati principalmente per lo smaltimento dei rifiuti urbani. In questo caso i burceri dovevano caricare l'acqua dolce non direttamente in sentina, ma in appositi tini. Questo lavoro, ritenuto illegale, era però ben tollerato in cambio del pagamento di un contributo di 20 soldi l'anno alla corporazione (nel 1773 oltre ai 18 capi maestri ed 8 figli di capo maestro, si contavano 100 acquaroli non iscritti). Gli acquaroli fornivano acqua all'ingrosso anche alle arti cittadine (tintori, lanieri, lavandai, osti, vetrai) ed avevano il compito di sorvegliare i pozzi pubblici per evitare furti d’acqua.

 

Una calle, una storia: viaggio tra i toponimi veneziani alla scoperta del passato della Serenissima
 

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