La festa del SS. Redentore celebra ogni anno la fine dell’epidemia di peste, che colpì tra il 1575 ed il 1577 gran parte dell’Europa e Venezia in particolare, dove su una popolazione stimata di circa 180.000 abitanti ne morirono più di 50.000, tra i quali il figlio minore del pittore Tiziano, Marco, e forse lo stesso maestro Cadorino.
Fu nel periodo di maggiore espansione del morbo – quando, stando alle statistiche di allora, nella sola città di Venezia morivano mediamente più di 100 persone al giorno – che l’allora Doge Alvise Mocenigo, in accordo col Senato, fece voto di elevare al SS. Redentore un tempio dove “…i successori anderanno solennemente…a perpetua memo-ria del beneficio ottenuto…”.
La prima pietra venne posta nel maggio del 1577 sotto il dogato di Sebastiano Venier, comandante della flotta veneziana a Lepanto, e il progetto venne affidato ad Andrea Palladio, il quale si servì di un collaboratore, Antonio Da Ponte, lo stesso che più tardi realizzerà il ponte di Rialto. L’edificio venne terminato e consacrato nel 1592 e rappresenta uno dei più grandiosi e armonici esempi di architettura religiosa palladiana.
Doge e Signoria raggiungevano la chiesa, nelle solenni celebrazioni della terza domenica di luglio, attraversando il ponte votivo, inizialmente costruito affiancando 80 galere, che congiungevano così le zattere di Dorsoduro con la riva del Redentore, attraversando il canale della Giudecca.
Fin dalle sue origini, la festa ha avuto un ampio consenso popolare estendendo i festeggiamenti a tutta la cittadinanza, che ancora oggi celebra l’avvenimento attraverso luminarie colorate, che addobbano altane, giardini e campielli.