Io sono Teatro: Marco Paolini porta al Teatro Toniolo lo spettacolo "Nel tempo degli dèi"
26/02/2019Marco Paolini da mercoledì 6 a domenica 10 marzo porta al Teatro Toniolo lo spettacolo Nel tempo degli dèi, di Marco Paolini e Francesco Niccolini con la regia di Gabriele Vacis. Una nuova produzione teatrale di Jolefilm Piccolo e Teatro di Milano - Teatro d’Europa con la collaborazione di Estate Teatrale Veronese e Teatro Stabile Bolzano., che a Mestre va in scena per cinque serate.
Da alcuni anni Paolini esplora il personaggio di Ulisse, i primi passi risalgono al 2003, nel sito archeologico di Carsulae, con le improvvisazioni musicali di Giorgio Gaslini e Uri Caine, e la scena di Arnaldo Pomodoro. Nel 2013, a Milano, all’interno di un ciclo di incontri parallelo alle repliche di Odyssey di Bob Wilson al Teatro Strehler, aveva proposto al pubblico una rilettura di quel lavoro.
Oggi, con la collaborazione alla scrittura di Francesco Niccolini e la regia di Gabriele Vacis, quella narrazione ha trovato il suo centro negli dèi, burattinai del destino umano. Il calzolaio del sottotitolo è l’aedo, che cuce la storia intorno al corpo e alla personalità di Ulisse come l’artigiano fa con un paio di scarpe.
Sono molte le cose che sotto le mentite spoglie di un calzolaio – anzi, del calzolaio di Ulisse, uno straniero dai sandali sdruciti, indurito dagli anni, dall'età dai viaggi e dai naufragi – racconta il protagonista a un giovanissimo capraio incontrato apparentemente per caso. Parlano lungo un sentiero in ripida ascesa, dove una fila infinita di uomini formica faticosamente arranca, trasportando – è proprio il caso di dirlo – ogni ben di Dio: perché quello è il sentiero che conduce fino allo Chalet Olimpo, dimora divina dove sono in corso i preparativi per una grande e misteriosa festa. Ma tutto questo, il calzolaio con il remo in spalla, lo deve ancora scoprire.
«Con quanti, ma soprattutto con quali dèi ha a che fare un uomo oggi? Non penso ovviamente alle solide convinzioni di un credente, ma al ragionevole dubbio di chi guardando al tempo in cui vive, pensa con stupore e disincanto alle possibilitài accelerazione proposte alla razza umana- speiga Marco Paolini, raccontando del suo spettacolo- Possibilitài lunga vita, possibilitài potenziamento mentale e fisico, possibilitài resistenza alle malattie, eccetera... Restare umani sembra uno slogan troppo semplice e riduttivo, troppo nostalgico e rassicurante quando diventare semi-dè appare un traguardo possibile, almeno per la parte benestante del pianeta. Ulisse per me èualcuno che di dè se ne intende e davanti alle sirene dell’immortalitàa trovare le ragioni per resistere.»
A spiegare lo spettacolo è anche Francesco Niccolini: "per anni lui, per me, è stato l'uomo che pensa a testa bassa e poi trova le parole giuste. L'uomo del cavallo di Troia e della gara con l'arco, quello delle Sirene, Polifemo, Scilla, Cariddi. Poi, all'improvviso, èiventato l'uomo triste che piange sullo scoglio piùsolato di isole da sogno, dove donne innamorate di lui gli hanno promesso l'immortalità molto altro, pur di trattenerlo: ma la nostalgia di casa, la nostalgia della moglie e del figlio erano sempre piùorti di ogni tentazione. Strano atteggiamento per un uomo che il mito ci ha consegnato come il simbolo di chi vuole superare ogni confine senza paura. Poi un giorno è diventato qualcos'altro ancora: è accaduto quando io, Marco e Silvia Busato abbiamo letto ad alta voce la strage dei pretendenti e delle ancelle puttane. Lì̀ è cambiato tutto e abbiamo dovuto ricominciare da zero: ci eravamo incagliati su un problema enorme. Come si fa a sposare il punto di vista di un assassino di quelle proporzioni? Inaspettatamente ci siamo trovati di fronte a un reduce di guerra che perde il controllo di sé e fa una strage, peggio del peggior marine psicopatico di ritorno dal Vietnam, dall'Afganistan o dall'Iraq. Perché di questo si tratta: un reduce che, in tempo di pace, applica le regole piùeroci del campo di battaglia. La sua vendetta èmisurata. Non c'è dubbio che i principi achei siano sfrontati, arroganti, dei parassiti che assediano Penelope, minacciano Telemaco e divorano le ricchezze del palazzo, ma bastano questi crimini per fare a pezzi centoventi giovani uomini e donne? Il giorno che ci siamo posti questo problema, e abbiamo cominciato a cercare la risposta, quel giorno lo spettacolo ha cominciato a esistere.
Ma il nostro Ulisse ha smesso di assomigliare a qualunque antico e luminoso eroe: sporco di interiora e sangue, infangato, maleodorante, invecchiato, rugoso e sdrucito, in esilio per altri dieci anni in compagnia solo di un vecchio e inutile remo, abbiamo scoperto non l'ex guerriero, l'ex eroe, di sicuro il reduce del campo di battaglia ma soprattutto un uomo, che - per l'ennesima volta da solo e contro gli dèi capricciosi e ostili anche quando sembra che stiano al tuo fianco - cerca di placare dèmoni vecchi e nuovi, che lo hanno accompagnato lungo trent'anni di guerre, naufragi e inattesi incontri. E tutto questo, con una sola spiegazione possibile, che ci viene dal personaggio che più amo in tutto il poema (e che solo apparentemente èimasto fuori dal nostro spettacolo), Alcinoo, il re mago, che tutta questa fatica e il dolore riesce a spiegare con le parole piùemplice e belle: «perché i posteri avessero il canto».