Una calle, una storia: “Ponte dei Pugni”

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Ponte dei pugni a Cannaregio
 

Una calle, una storia: “Ponte dei Pugni”

17/01/2019

A Venezia si trovano due ponti denominati “dei Pugni”: uno, il più conosciuto, nel sestiere di Dorsoduro, tra campo Santa Margherita e campo San Barnaba, l'altro nel sestiere di Cannaregio, nei pressi di campo Santa Fosca. Su entrambi i ponti, nei quattro angoli della pavimentazione, è inserita un'impronta di piede in pietra d'Istria; il toponimo deriva dall'antica tradizione di combattere sui ponti la guerra dei pugni.

Si trattava di una competizione tra gli abitanti di due fazioni avverse: i Castellani e i Nicolotti, divisi da accese rivalità sin dai primi secoli di vita della Serenissima. Già al tempo di Sebastiano Ziani (doge dal 1172 al 1178) la cittadinanza era ripartita tra Castellani (abitanti dei sestieri di Castello, San Marco e Dorsoduro) e Cannaruoli (dei sestieri di San Polo, Santa Croce e Cannaregio, zone paludose e ricche di canne). Nel 1307 ai Cannaruoli furono assegnate cinque contrade di Dorsoduro (San Nicolò dei Mendicoli, Angelo Raffaele, San Basegio, Santa Margherita e San Pantalon), e il loro nome fu cambiato in Nicolotti. I Castellani, che vivevano nella zona orientale della città, erano per la maggior parte operai dell'Arsenale. I Nicolotti, che risiedevano dalla parte opposta, erano perlopiù dediti alla pesca.

La Serenissima accettava e promuoveva le lotte che mantenevano abili i cittadini nella difesa da eventuali attacchi di popoli nemici, inoltre, la divisione in due gruppi, rendeva più remota la possibilità di rivolta popolare. Le due fazioni ebbero così il permesso di fronteggiarsi nel combattimento dei pugni. Il governo veneziano organizzava anche gare di tiro al bersaglio, alle quali tutti i cittadini dovevano partecipare, e da cui nacquero le figure dei balestrieri e dei bombardieri. Questi però, prima di essere dei perfetti tiratori (il più importante campo da tiro era situato ed è tuttora, a San Nicolò al Lido), dovevano imparare l’arte del remo.

Dal mese di settembre fino a Natale, i Castellani e i Nicolotti si sfidavano a colpi di pugni sui ponti della città, allora quasi tutti sprovvisti di ringhiere ai lati. La preparazione allo scontro era accurata ed era preceduta da una pubblica sfida tra campioni in duello. Il fondo del canale sottostante il ponte veniva precedentemente ripulito in modo che i combattenti, precipitando in acqua, non si ferissero.

Il giorno della battaglia le due squadre arrivavano a suon di musica e si schieravano sulle fondamenta da una parte e dall'altra del canale che brulicava di barche di spettatori, mentre altri assistevano dalle finestre e altri ancora si arrampicavano sui tetti delle case. Le due fazioni si affrontavano in tre tipi di sfide: la Mostra, la Frota e la Guerra Ordinata.

La Mostra era un incontro di pugilato tra due avversari, a cui prendevano parte i più forti delle rispettive fazioni. Potevano esserci numerosi incontri nel corso della giornata fino alla vittoria di una fazione. La Frota era un vero assalto al ponte tra le due fazioni al completo: vinceva quella che si impossessava interamente del ponte. La sfida non aveva regole e si usavano perfino armi da taglio che provocavano il ferimento di decine di persone che spesso finivano in acqua. La Guerra Ordinata, invece, si svolgeva con spinte e anch'essa terminava con la conquista del ponte da parte di una fazione.

Anche sul Ponte della Guerra, nel sestiere di San Marco, vicino a San Zulian, si compivano sfide, usando, come armi, soprattutto le canne. Queste lotte furono proibite dopo che, il 30 settembre 1705, uno scontro su un ponte finì a sassaiole e accoltellamenti. Da allora Castellani e Nicolotti poterono sfidarsi solo in giochi meno violenti come le forze d'Ercole (in cui ciascuna squadra doveva realizzare una sorta di piramide umana) e le regate.

L'animo concitato dei veneziani, durante le sfide, si percepisce nella poesia della raccolta “Rime Veneziane” di Attilio Sarfatti (1863-1900), “La lota dei pugni”:

Davanti a un mar de zente, a una gran fraca
Che ziga, urla, se move in qua e in là;
I se varda, i se stùzzega, i se taca,
E ga razon chi più resiste e dà.
Za molti casca in aqua, trema el ponte,
I Castelani no pol far fronte.
El popolo no sta drento la pele,
E i Nicoloti el porta fin le stele.
Se fussimo a quei tempi de bacan,
A quei tempi de pugni e de legnae,
Che bòte, Paulo mio, che sancassan,
Quante da le to man teste segnae!
Diese contro ti solo, vinti, çento,
Cane se pararia sbatue da 'l vento.
Cane che no resiste, ma se sbassa,
Co la tempesta ruza, infuria e passa.

Una calle, una storia: viaggio tra i toponimi veneziani alla scoperta del passato della Serenissima
 

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